Como: Professionista in Ucraina, Badante in Italia
Le nostre badanti sono tutte professioniste, arrivano da ogni Paese del mondo, abbiamo persone che nel loro Paese d’origine svolgevano lavori completamente diversi, addirittura ad un livello di dirigenza.
La storia al giorno d’oggi ci porta ad avere molto personale ucraino anche a Como, soprattutto donne che scappano dalla guerra e che arrivano in Italia a fare le badanti.
Ecco una di queste storie:
Liliana 56 anni faceva l’infermiera ai civili feriti dalle esplosioni russe.
Giorno e notte in emergenza a curare uomini, donne e bambini colpiti all’improvviso all’interno delle loro abitazioni.
Abitava a Charkiv e un giorno anche la sua abitazione è stata colpita:
«Finestre rotte, stanze distrutte, era diventato impossibile restare a vivere dentro la nostra casa».
Così Liliana insieme al figlio e al marito va a vivere sottoterra, nella stazione della metropolitana insieme a tanti altri sfollati.
«Sono rimasta tre mesi in quelle condizioni, è stato terribile, avevamo poco da mangiare, indossavamo sempre il giubbotto anti proiettile».
Ma ancora più terribile è stato il giorno in cui ha perso suo marito:
«Lui stava tornando a casa per raccogliere alcune cose e sono arrivati i russi con i carri armati, sparavano dappertutto, hanno centrato in pieno il palazzo, lui non ce l’ha fatta a sopravvivere».
Piange ancora Liliana.
Oggi vive a Prato e fa la badante a un signore anziano.
Sta imparando velocemente l’italiano, studia tutti i giorni sul cellulare. Ogni giorno impara una parola nuova.
Ha grinta da vendere.
Pensa a suo marito che non c’è più, ricorda quelle ore drammatiche:
«È stato impossibile perfino portarlo al cimitero perché le persone morte sotto le esplosioni non sono integre, tutti quei morti li hanno seppelliti in una fossa comune, quando tornerò in Ucraina non avrò neppure una tomba su cui piangere mio marito».
Adesso suo figlio di 30 anni è in guerra nel battaglione di Azov.
Ogni giorno Liliana prega per lui:
«Non so esattamente dove si trovi in questo momento».
L’ha salutato prima di partire per l’Europa.
Ricorda quei giorni, nove ore di pullman dalla sua città fino al confine con la Polonia:
«Poi ho dormito tre giorni dentro uno stadio allestito per i profughi».
Infine il viaggio in pullman stavolta direzione Italia.
Prima Napoli dove c’era una comunità di amici, poi la Toscana dove ha trovato lavoro:
«In Ucraina ero infermiera e quindi la badante è un lavoro che so fare bene».
In due mesi ha ottenuto il permesso di soggiorno:
«La vita è dura ma cerco di essere felice perché ho un tetto sotto il quale vivere, un posto letto, il pane tutti i giorni, durante la guerra ho dormito nella metropolitana e non avevamo tutte questi confort».
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